Kvetch – note di regia

Perché Kvetch. Perchè Steven Berkoff per la mia prima “regia solista”.
L’ammirazione profonda per questo grande autore/regista/attore nasce dalle letture dei suoi testi e dalle stupende versioni dei suoi lavori che negli anni ho potuto ammirare, fino a un vero innamoramento per quest’opera.
Quello che mi colpisce di più di Berkoff, e di Kvetch in particolare, è che questi personaggi non sono archetipi irraggiungibili come Amleto o Edipo, che richiedono un vero atto di fede e un salto verso l’impossibile sia da parte degli attori che del pubblico. Donna, Frank, George, Hal e la suocera sono “persone” reali, in cui facilmente ognuno di noi si può identificare e che vivono esperienze che chiunque di noi potrebbe vivere.
A questo aspetto molto ordinario Berkoff aggiunge però una seconda dimensione, quella dei “Kvetch”, autentici monologhi interiori pieni di senso e verità, in cui i personaggi esternano i loro veri pensieri. La contrapposizione tra questi due piani – la realtà sociale, con le sue convenzioni asfittiche e soffocanti, che impongono ai personaggi cosa dire e come comportarsi in pubblico, e la realtà interiore, in cui i personaggi esternano le loro sensazioni e i loro pensieri, spesso diametralmente opposti – crea un ritmo sincopato e avvincente e smaschera con caustica ironia le mille nevrosi e paranoie che nascono dalla contrapposizione tra quello che dovrebbero e quello che vorrebbero essere.
L’ispirazione per affrontare questo testo nasce da una cena al buio, organizzata all’istituto dei ciechi di Milano.
La cosa che mi ha colpito maggiormente di quell’esperienza è stato il fatto che, seduta al tavolo con estranei, nel buio più totale, la conversazione pian piano virava verso argomenti più profondi rispetto a quelli classici di una cena tra sconosciuti;la postura sulla sedia diventava man mano più rilassata; non sentivo la necessità di sorridere come avrei fatto normalmente.
In quel frangente, mi sono sentita mille volte più me stessa rispetto ad una qualunque occasione analoga, e da ciò è partita la mia riflessione su quanto siamo condizionati in ogni singolo momento delle nostre vite, su quanto ci preoccupiamo – anche inconsciamente – delle conseguenze delle nostre azioni, su quanto cerchiamo di tenere in profondità le nostre paure, con il risultato che in alcuni momenti finiscono per tornare a galla con ancora più forza.

In Kvetch alcuni personaggi si renderanno conto di questa maschera, e cercheranno una via di fuga alla loro infelicità; rischieranno per un futuro più felice e sincero, “mandando alla malora tutti i sensi di colpa”, e riusciranno nell’impresa.
Se c’è qualcosa che questo spettacolo mi auguro trasmetta allo spettatore è proprio questo, la voglia di non nascondersi più, di affrontare le proprie paure e di vivere ogni momento della vita con verità e pienezza, rilassati e autentici come in una cena al buio.

 

Laura T.